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24 Aprile, 2025 Cesenatico

Cinque anni fa a Cesenatico il primo contagio da Covid: cosa resta di quei giorni

Esattamente cinque anni fa – il 7 marzo 2020 – a Cesenatico veniva diagnosticato il primo contagio da Covid-19. Il “paziente zero” risultò positivo la vigilia della Festa della Donna e, specchio dei tempi, la sua guarigione, una decina di giorni dopo, venne annunciata in diretta social come la fine della guerra in Abissinia: “Mi hanno appena comunicato che il tampone del nostro concittadino é negativo – sospirò il sindaco Gozzoli aprendo una delle sue live quotidiane – si tratta della prima bella notizia che posso darvi dopo tanto tempo”.

Diciamo subito che ricordare quegli anni con il “senno di poi” può sembrare un tantino bastardo. Perché a quei tempi, con impresse negli occhi le immagini tv della macabra sfilata dei carrofunebri di Bergamo, alzi la mano chi non abbia pensato, almeno per un istante, “questa é una cosa seria”. 

Oggi, invece, che abbiamo capito finalmente cos’é il coronavirus, ripensando al “Green Pass”, ai banchi con le rotelle, al faccione del fruttivendolo dietro il plexiglas, ai cartelli alla Coop “Si prega di fare la spesa in silenzio”, alle persone che cambiavano marciapiede per evitare l’alito dei passanti, beh ripensando a tutto questo, diciamo la verità, é difficile non arrossire.

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Ognuno ha i suoi ricordi e i suoi aneddoti, ma uno dei manifesti di quegli anni resterà sempre il finanziere panzuto che, con l’aiuto dell’elicottero, inseguiva il podista sulla spiaggia deserta. E la cosa bizzarra, inutile negarlo, é che – ostaggio del martellamento quotidiano dei media – la maggior parte di noi faceva il tifo per il finanziere.   

Un’esagerazione è una verità che ha perso la calma, diceva qualcuno. E, a quei tempi, anche se non ce ne rendevamo conto, abbiamo tutti esagerato. 

Erano gli anni in cui i familiari diventavano “congiunti”, ossia potevano vivere assieme ma, appena fuori casa, dovevano camminare distanziati, gli anni dei caffè all’impiedi perché seduti il virus circolava più veloce, gli anni in cui a casa si dava la polvere con l’Amuchina e in cui seguivamo i tutorial della D’Urso per lavarci correttamente le mani. Gli anni in cui i nostri figli andavano a scuola sugli autobus sovraffollati e poi, in classe, avevano i banchi distanziati. Gli anni del tracciamento, del “dagli all’untore”, delle campagne etiche del Governo (“Una persona altruista la riconosci subito: indossa la mascherina”), gli anni in cui ci incazzavamo perché, come a scuola, le misure si restringevano per colpa di quattro deficienti. Gli anni in cui – una volta sì e l’altra pure – tornavamo a casa perché ci eravamo scordati la mascherina. 

Cinque anni fa a Cesenatico il primo contagio da Covid: cosa resta di quei giorni - La Voce di Cesenatico

All’inizio, diciamo la verità, il clima era quello da “villaggio vacanza”: niente scuola, niente lavoro (al massimo lo smart-working in tuta e ciabatte), le serie infinite alla tv, i flash-mob patriottici sul balcone, i lenzuoli “Andrà tutto bene” e la ritrovata intimità familiare. Anche Selvaggia Lucarelli ci rassicurò: “Che poi alla fine – scrisse – questo grande sacrificio richiesto è di rimanere a casa, al caldo, davanti a Netflix, mica di andare a raccogliere pomodori nei campi a ferragosto”. 

Al quinto modello di autocertificazione ci venne il sospetto che, da bravi italiani, stavamo provando a sconfiggere il virus rincoglionendolo a livello burocratico, ma che bello era girare per la strada e, incontrando il vicino, potergli sussurrare… “Sai, sono immune…”. 

Poi, col tempo, abbiamo capito che la reclusione non sarebbe stata una questione di giorni, forse neppure di settimane. E allora, con l’incubo di una stagione turistica davvero a rischio, abbiamo iniziato a preoccuparci sul serio. Perché questo paese vive in simbiosi con il turismo e, senza di quello – pensammo – a settembre saremo tutti più poveri e più indebitati. 

Insomma, tra virologi da bagaglino e complottisti onniscienti, ben presto il numero degli esperti di Covid-19 superò di gran lunga il numero di contagiati e, a quel punto, cominciammo un po’ ad aprire gli occhi. I conti correnti cominciavano a scendere, i ragazzini a scalpitare e l’idea che “nulla sarà più come prima” cominciava a farsi largo anche tra gli ottimisti più irriducibili. Poi il virus – come tutte le pandemie – fece il suo corso naturale e, se oggi ti becchi il Covid-19 (quello stesso Covid-19!), prendi la borsa dell’acqua calda, un Brufen e finisce lì.  

Che cosa resterà allora di quegli anni bui e bizzarri? In primis, le immagini funeree di una Cesenatico che non vorremmo vedere mai più. Ma ciò che resta é soprattutto una grande lezione di vita perché, nell’era della pandemia, non ha avuto ragione nessuno: né quelli che hanno creduto a tutto né quelli che non hanno creduto a niente. Ma quando, la prossima volta, distribuiranno i copioni, le maschere e gli stampi, speriamo almeno di essere un po’ più lucidi e un po’ meno coglioni.

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