Luca Zindato é un rapinatore che, come Renato Vallanzasca, sembra uscito da un romanzo noir. Ha solo 35 anni, risiede a Riccione, ma le sue malefatte (rapine e furti) – dal 2010 ad oggi – sono state consumate un po’ in tutte le località della riviera romagnola. Alle sue spalle, ha una lunga carriera criminale fatta di episodi bizzarri e, in alcuni casi, anche tragici. In ogni caso, raramente un malvivente é finito così tante volte sui giornali per le sue storie al limite del surreale.
Di lui si parlò già nel 2015, quando si trovava in carcere per una rapina commessa a Pesaro. Con la mamma in fin di vita, chiese un permesso speciale per vederla un’ultima volta ma, nonostante l’appello pubblico del suo legale, l’autorizzazione del tribunale arrivò due giorni dopo il decesso della donna.
L’anno prima era finito in carcere per una serie di rapine a mano armata in concorso con una banda di cui faceva parte anche un collaboratore di giustizia.
Dopo qualche mese di latitanza (era evaso dai domiciliari), Zindato era finito nuovamente dietro le sbarre nel novembre del 2022 perché aveva occupato abusivamente un’abitazione estiva di Pinarella. Dopo averlo fatto uscire, non senza fatica, e dopo aver tentato di eludere i controlli fornendo false generalità, i carabinieri della compagnia di Cervia Milano Marittima avevano scoperto che sul conto di quell’uomo pendeva un ordine di carcerazione, per i reati di rapina ed evasione, e che doveva scontare 5 anni e 4 mesi.
In questi giorni il suo nome é tornato alla ribalta delle cronache nazionali per l’ennesimo episodio bizzarro: l’uomo infatti, durante un colloquio nel carcere della Dozza, avrebbe messo incinta la compagna. A raccontare l’episodio é stata proprio la donna, che ha così spiegato l’episodio ai magistrati: “Abbiamo concepito in carcere, alla Dozza, il nostro secondo figlio, durante un normale colloquio, approfittando del fatto che nessuno ci stesse sorvegliando. Poi quando si è avvicinato il momento della nascita abbiamo fatto istanza al magistrato di sorveglianza per consentire al papà di essere presente, ma la richiesta è stata rigettata perché il carcere ha dichiarato che non potevamo avere colloqui intimi e quindi era impossibile che fosse figlio suo. Sono stati violati i nostri diritti”.
“Durante la gravidanza – spiega la donna – il mio compagno ha informato le autorità del carcere e anche l’educatrice che lo segue di quanto era avvenuto e nessuno ha mai detto nulla. Poi però è stata messa in dubbio la sua paternità e il magistrato ha deciso di non farlo venire alla nascita, avvenuta il 2 marzo, una cosa che non si nega nemmeno ai detenuti al 41 bis”.
La vicenda è stata seguita dall’avvocata Elena Fabbri. “E’ poco dignitoso quanto è successo – ha detto la legale – parliamo di un evento straordinario, la nascita di un figlio. Inoltre i colloqui affettivi sono un diritto, non solo per il detenuto ma anche per i familiari. In queste situazioni c’è tanta burocrazia e poco rispetto per i reclusi. Credo che il carcere si sia trovato in una situazione di imbarazzo, perché qualcuno avrebbe dovuto vigilare su quel colloquio…”.