Nei giorni del commiato del Vescovo Douglas Regattieri, tra le doverose celebrazioni ed i ringraziamenti solenni per la sua generosa attività pastorale, qualcuno dovrebbe ricordare a Sua Eccellenza una delle grandi gaffe del suo mandato episcopale. Siamo il 5 dicembre 2020 e, nel manifesto funebre che annunciava la morte terrena di don Giuseppe Giacomoni, il presbiterio di Cesena-Sarsina lo celebrò con queste parole: “Sarà ricordato per l’opera svolta nell’educazione dei giovani…”.
Parliamo del sacerdote che, negli anni Novanta, fu accolto presso la parrocchia di San Giacomo e che, in seguito, svolse il suo ministero a Villalta e poi in aiuto ai giovani preti delle comunità della zona pastorale del mare. Nell’ultima parte della sua attività divenne Presidente dell’associazione Arcobaleno di Villamarina, un istituto accreditato presso il tribunale dei minori di Bologna impegnato nel reinserimento sociale di giovani immigrati.
Ora, giova ricordare che, nel corso del suo lungo ministero sacerdotale, don Giacomoni venne condannato a sei anni ed otto mesi di reclusione per sfruttamento della prostituzione minorile ed ancora oggi il suo nome figura nell’elenco dei preti pedofili dell’associazione “Rete L’Abuso”.
Quindi, non per disconoscere l’operosità di un sacerdote che, nel corso della sua vita diocesana, avrà anche prestato – come si leggeva nel manifesto funebre – “un prezioso aiuto alla sua comunità parrocchiale”, ma forse quell’inciso si poteva evitare, se non altro per quel doveroso rispetto che si deve alle vittime degli abusi.
Anche perché di quell’inchiesta che, in fin dei conti, accertò un unico caso di violenza sessuale, sono rimasti esclusi altri episodi, alcuni dei quali con profili penali altrettanto gravi.
Oggi, dopo la morte di Don Giacomoni (vittima del Covid), nessuno é in grado di stabilire quante furono con esattezza le giovani vittime del sacerdote, ma ci sono uomini, ex ragazzi di quella comunità, che con quelle ferite devono ancora conviverci.
Tra questi c’é Bashkim (nome di fantasia), un cittadino albanese che, nei primi anni duemila, quando aveva appena 15 anni, venne assegnato dai servizi sociali di Forlì alle “cure” dell’associazione “Arcobaleno” di Villamarina di cui don Giuseppe Giacomoni era presidente. Oggi Bashkim ha 36 anni, lavora stabilmente in un comune del Cesenate, ha una moglie e due bimbi ed una vita serena. Ma nella sua adolescenza c’é un’ombra con la tunica che non dimenticherà.
Bashkim, quando arrivò nella sede dell’associazione di don Giacomoni?
“Era la primavera del 2004. Arrivai in Italia con mia mamma assieme a tanti miei parenti. Ero un ragazzino un po’ vivace e studiare non mi piaceva granché. Un giorno, passando davanti alle vetrine di un negozio di abbigliamento, rubai un giubbotto che mi piaceva tanto. Mi presero subito e finii davanti al tribunale dei minori. Non era la prima volta che commettevo dei piccoli furtarelli e così il giudice, poiché mia madre in quel momento non era in grado di occuparsi di me, mi assegnò ai servizi sociali. Dopo qualche giorno arrivai a Cesenatico”.
Cosa ricorda di quegli anni?
“C’erano tanti ragazzi come me, quasi tutti stranieri. Io non volevo starci perché gli ambienti della Chiesa li trovavo noiosi. Ma mi accorsi ben presto che in quel posto si pregava poco”.
E cosa si faceva?
“Dovevamo occuparci della pulizia degli ambienti, facevamo il bucato, cucinavamo e giocavamo a pallone. Ogni tanto qualcuno arrivava e qualcun altro se ne andava. Io mangiavo tre volte al giorno, avevo un letto pulito e questo, a quei tempi, mi bastava”.
Quando conobbe Don Giacomoni?
“Me lo trovai di fronte appena arrivai al centro. Ancor prima di entrare mi diede scherzosamente un calcio nel sedere dicendomi ‘Questo é per tutti i peccati che hai commesso’. Era un uomo che metteva soggezione, aveva modi bruschi ma non sembrava cattivo. Il giorno del mio arrivo mi disse ‘Qui imparerai a comportarti bene’…”.
E andò così?
“Dopo un paio di giorni parlai con un ragazzo rumeno. Mi disse: ’Stai attento che qui allungano le mani…’. Ero troppo giovane e, sul momento, neppure capii che cosa intendesse. Poi, un giorno, Don Giacomoni mi chiamò nel suo ufficio e mi fece discorsi strani. Si alzò e provò a toccarmi. Mi misi a ridere, lo scansai energicamente e gli dissi ‘Oh, non sono mica finocchio’. Anche lui sorrise e, in quel momento, non capii la gravità di quel gesto. Erano altri anni, di queste cose si parlava poco e io pensai di aver di fronte un vecchio omosessuale non un pedofilo che insidiava i ragazzini”.
Ci furono altri episodi?
“No perché, dopo pochi giorni, mi venne a prendere mia madre con mio zio. Mi disse che aveva trovato un lavoro stabile in una cooperativa e che quindi sarei potuto tornare con lei”.
Quando ebbe piena consapevolezza di quel tentativo di molestie?
“Quando, un paio di anni dopo, don Giacomoni venne arrestato. Fu mia mamma a dirmi: ‘ma lo sai che hanno messo in galera quel prete di Cesenatico?’. Andai a comprare il giornale senza dire niente a nessuno. Lessi quell’articolo e, a quel punto, realizzai…”.
Cosa le resta di quell’episodio?
“Mah, sul piano personale ogni tanto ci penso, ma alla fine la mia reazione mi ha salvato. Piuttosto ho perso completamente la fiducia nella Chiesa e alla mia primogenita non ho neppure fatto fare la comunione. Quando mi hanno chiesto spiegazioni, ho raccontato questo episodio. E non mi hanno detto più niente”.
Chiunque, anche in forma anonima, volesse raccontare episodi legati a quegli anni e ai periodi di sua permanenza nell’associazione Arcobaleno di Villamarina tra il 1990 ed il 2006, la redazione de La Voce é disponibile ad ascoltarvi. Parlare, anche 20 anni dopo, può servire a ricostruire quella triste pagina della nostra storia e, forse, a dare un po’ di sollievo a chi, in quegli anni, non ha avuto il coraggio o la possibilità di denunciare.
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