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19 Aprile, 2025 Cesenatico

Il sindaco Gozzoli: “Dopo il Covid la gente ha perso fiducia e rispetto nelle istituzioni”

Alluvioni, terremoti e pandemie. Non si é fatto mancare nulla, nei suoi nove anni di mandato, il sindaco Matteo Gozzoli. Ma gli anni del Covid-19, lui come tutti, non li dimenticherà. 

Perché puoi anche essere il più grigio dei burocrati ed interpretare il tuo ruolo con la passione di un amministratore di condominio ma, in certi momenti, ti piaccia o no, diventi il custode pro tempore dei bisogni di una comunità ed é in quei momenti che capisci che fare il sindaco significa non staccare mai.

Nell’abisso di solitudini a cui ci ha costretti la pandemia, quando la vacanza cominciava a puzzare di detenzione, le dirette social alle 5 del pomeriggio del sindaco sono diventate un appuntamento prezioso e – nel momento in cui servivano dedizione bipartisan, senso di vicinanza e capacità di essere presente – non c’é dubbio che Matteo sia stato all’altezza.

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Il 7 marzo del 2020, esattamente cinque anni fa, a Cesenatico veniva diagnosticato il primo contagiato da Covid-19. Fu l’inizio di una fase complessa che oggi, a mente fredda, possiamo analizzare con maggior equilibrio e consapevolezza.

Sindaco Gozzoli, cosa ricorda di quei giorni?

“A 5 anni di distanza da quei fatti, ricordando i primissimi giorni, sicuramente i primi sentimenti che mi vengono in mente sono disorientamento e smarrimento. Il 18 e 19 febbraio mi trovavo con una delegazione composta da Comune, Regione, APT, Associazioni e Nove Colli alla fiera di Monaco per presentare la grande accoppiata Giro d’Italia e 50a edizione della Nove Colli. Al ritorno, nel fine settimana domenica 23 febbraio, mentre sul porto canale bambini e famiglie festeggiavano il Carnevale, io stavo per entrare al Museo della Marineria per la presentazione del team juniors Alice Bike con la famiglia Savini e mi chiamò al telefono il Sindaco di Cesena Enzo Lattuca. Stava andando urgentemente a Bologna perché pareva che il virus proveniente dalla Cina avesse contagiato delle persone anche nel piacentino e si valutava la chiusura delle scuole già da lunedì. Sono dettagli ma tutto ciò rende bene come l’Italia e tutto il mondo fossero impreparati a gestire una pandemia così grande”

Le sue dirette social quotidiane divennero un appuntamento fisso di quel periodo: con che spirito le faceva?

“Sentivo il dovere di informare la mia comunità con informazioni tagliate sul piano locale. Sapevo che tutti i miei concittadini erano chiusi in casa, inondati da informazioni di ogni tipo alla tv e sui social. Alle 17.00 di ogni giorno cercavo di riportarli alla nostra realtà fatta sì di contagi, ma anche di buone pratiche e di notizie positive. C’erano le mascherine (sempre non sufficienti) da distribuire, le informazioni sulle nuove misure in vigore e i consigli su come interpretare i DPCM che spesso uscivano alla sera. Subito, senza nemmeno il tempo di aprirli la mia casella istituzionale e Whatsapp si riempiva di domande, dubbi, ansie. Quel momento era studiato e pensato per provare a rispondere a tutti”. 

Oggi, con il senno di poi, cinque anni dopo quel drammatico periodo, ritiene che la gestione di quell’esperienza fu corretta?
“Inizialmente fummo travolti non solo come Paese, ma come Europa e, un po’ come un domino, abbiamo visto nazioni essere colte alla sprovvista. Di problemi e di errori ne sono stati commessi, la classe dirigente faticava a gestire un fenomeno così complicato ma, pur con sbavature ed errori a volte anche grossolani, penso che il nostro Paese e l’Unione Europea abbiano dato la dimostrazione di saper reagire”.

Lei, come sindaco, rifarebbe tutto allo stesso modo?
“Col senno di poi sicuramente qualcosa di diverso l’avrei fatto ma, lì per lì, ho solo pensato di lavorare giorno e notte per cercare di essere il più possibile vicino e a servizio della mia comunità. Un primo errore che ho commesso nell’immediato insieme ad altri colleghi è stato quello di spingere verso messaggi di grande speranza col motto “Cesenatico non si ferma” che, dopo qualche settimana, sono stati spazzati via dall’impennata dei contagi. Questo ha creato delle aspettative e delle speranza che poi si sono trasformate in frustrazione, ma come potevamo prevederlo?”. 

Dalla sua esperienza e dalla sua prospettiva, come ci ha cambiato, come comunità, quell’esperienza?
“Come in tutti i passaggi epocali (perché ritengo che il Covid sia stato uno spartiacque) ci sono luci ed ombre. Le luci: come non ricordare l’enorme sforzo del personale sanitario e dei medici oppure il volontariato che ci ha supportato in ogni momento. Ricevevo telefonate fino a tarda sera per organizzare distribuzioni di ogni genere, uomini e donne, pur di non rimanere a casa, si sono inventati attività veramente incredibili a supporto della comunità e dei più fragili. Dall’altro canto è innegabile che quei lunghi mesi di lockdown abbiano incattivito tante persone, i social sono diventati uno sfogatoio e direi che, da quei mesi, qualcosa sicuramente è cambiato in termini di speranza verso il futuro e fiducia nelle istituzioni”. 

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