Il 17 marzo 1875 (14esimo anniversario dell’Unità d’Italia), esattamente 150 anni fa, alle ore 23.51, Cesenatico fu colpita dalla più forte scossa di terremoto della sua storia.
A quei tempi non esistevano i sismografi, ma l’Istituto Nazionale di Geofisica calcolò negli anni successivi che la scossa – con epicentro al largo del Mar Adriatico – doveva aver raggiunto almeno una magnitudo di 5.7 (quello dell’Irpinia arrivò a 6.9), ovvero l’ottavo grado della scala Mercalli.
Dell’episodio vi sono frammentarie testimonianze riportate in qualche vecchio libro di storia locale, ma adesso spunta un documento inedito, datato 20 marzo 1875, che ci svela qualche particolare in più di quella tragica notte di primavera.
Una circolare, su carta intestata “Municipio di Cesenatico”, riporta la richiesta di aiuto formulata dal neonato Comitato di Soccorso cittadino presieduto da Antonio Faedi e formato da Francesco Antonelli (Vicepresidente), Giuseppe Bravetti (Presidente della Congrega di Carità), Pio Squadrani, Francesco Pistocchi, Innocente Beltrami, Zefferino Bragazzi e Lucio Signoretti (segretario).
Un paio di giorni dopo quel tragico evento sismico, il Comitato – con linguaggio aulico e antiquato – scriveva questa lettera: “Un’orribile scossa di terremoto – in diversi sensi – veniva, circa a un’ora antimeridiana del giorno 18 del corrente, a funestare questi abitanti, gettando in tutti lo spavento e la desolazione. Atterrava alcuni pubblici edifici e case private, e le restanti di queste sfasciava a segno, da renderne molte inabitabili, privando cosi tanti poveri infelici delle loro abitazioni. Ora questi invano – dal lastrico o dalle stesse case, tuttora pericolanti – invocano un sicuro ricovero giacché, per i molti guasti cagionati dal disastro, e per le finanze, tutt’altro che floride del Comune, si può a stento provvedere ai bisogni più urgenti. Il Municipio quindi, venuto tosto in sollievo alle prime e imprescindibili necessità di tanta sciagura, si é affrettato a costituire un Comitato di Soccorso allo scopo di raccogliere offerte in favore dei danneggiati. Il Comitato sottoscritto pertanto fa caldo appello a Municipi e cittadini di tutta Italia perché vogliano essi estendere fraternamente la mano soccorrevole a chi la sventura troppo acerbamente colpiva, a lenire per tal modo il dolore, asciugare le lacrime di tanti miseri fratelli. Gli scriventi, che videro i loro concittadini non mai sordi alla voce del dovere, e specialmente a quella di carità cittadina, hanno ferma fede che nessuno vorrà non ascoltare l’eloquente e straziante grido della sventura e che anzi si vedrà in questa circostanza confermato, ancora una volta, il vincolo di solidarietà e di fraterno amore tra gl’Italiani, porgendo questi una novella prova che non sarà mai per essere smentita la tradizionale e gloriosa filantropia scambievole de Comuni italiani nella calamità”.
A Cesenatico, dove le scosse di assestamento proseguirono per tutto il mese di marzo, quasi tutte le abitazioni furono danneggiate: alcune crollarono quasi interamente e molte divennero inagibili. Caddero un po’ dovunque tettoie, soffitti, fumaioli e muri di cinta. Le pareti degli edifici subirono lesioni diffuse e, in molti casi, i muri esterni crollarono.
Cedette la parte superiore della torre dell’orologio pubblico, alta circa 20 metri, mentre nell’ospedale civico crollarono due soffitti, la cappella riportò lesioni strutturali piuttosto serie ed un muro esterno si staccò dagli altri di circa 7 centimetri.
Crollò anche il muro di cinta dell’orto dei Cappuccini (quello che oggi ospita la Caritas), mentre un loggiato sostenuto da 6 colonne alte circa 4 metri si rovesciò completamente in direzione est.
La chiesa parrocchiale dei SS.Cristoforo e Giacomo fu chiusa al culto per i gravi danni alla volta e per il distacco dei muri orientali dal corpo dell’edificio. Anche il campanile subì un movimento di rotazione. La Torre Pubblica sul Canale con l’effige della Madonna cadde violentemente a terra. Come per miracolo, però, la Madonna rimase intatta e, ancora oggi, una lapide ricorda l’episodio di quel triste giorno e la nuova collocazione del simulacro dedicato alla Madre di Gesù Cristo.
Fra gli edifici pubblici risultarono danneggiati anche il municipio e l’asilo infantile. Dalla spiaggia furono notate alcune piccole onde di maremoto. In vari luoghi della costa romagnola si aprirono lunghe fenditure nel terreno e cavità imbutiformi da cui fuoriuscirono getti di acqua in pressione (fenomeni di liquefazione del terreno).
Tantissimi abitanti si ritrovarono, per intere settimane, senza un riparo dove dormire. Ma, anche in quel caso, si mise in moto la macchina della solidarietà e sono tante le testimonianze che ricordano l’aiuto reciproco tra le famiglie.
Il terremoto che colpì la Romagna sud-orientale venne avvertito nitidamente anche a San Marino e Urbino, mentre rovinose devastazioni furono segnalate nelle città di Cervia e Rimini, dove si registrò una vittima e dove un centinaio di edifici subirono gravissime lesioni.